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La spettacolarizzazione del sè

Finora ho parlato dei blog personali come di qualcosa legati al concetto di scrittura diaristica, quindi, per definizione, di scrittura privata.

 

Ma non posso non pensare che esista anche il fenomeno opposto. Quello cioè di voler mettere in mostra se stessi ad un pubblico il più vasto possibile.

 

Del resto una delle caratteristiche della società attuale è quella della spettacolarizzazione: lo sport, la scienza, la politica, tutto diventa spettacolo. Viene cioè arricchito e messo in scena per essere visto, applaudito, esaltato. Non viene solo reso pubblico, ma viene soprattutto pubblicizzato.

 

Allo stesso modo non posso non pensare che molti blog personali nascano proprio da questo desiderio: quello di essere visti, applauditi, letti. È dunque un mettersi in mostra, un voler rivelare se stessi.


Narrare se stessi

Scrivere è un modo per rielaborare i propri pensieri e per darne una sistemazione all’interno del nostro concetto di Io e al nostro concetto di realtà.

 

Se qualcuno di voi ha letto “La coscienza di Zeno”, di Italo Svevo, potrà avere un’idea precisa del concetto. Nella nostra società occidentale, quella economicamente e tecnologicamente forte, il fenomeno del blog personale sembra assumere questa caratteristica dominante. È molto più di un diario, è un blog, e la sua pubblicazione significa uscire dalla scrittura privata (quella che può essere rappresentata da un diario), confrontarsi con le persone. Implica oltretutto una rielaborazione psichica ulteriore rispetto alla scrittura diaristica, ma con essa – per le caratteristiche della Rete – ha anche alcuni tratti in comune che riguardano l’identità della persona che nel blog non è sempre conosciuta.

 

Se con il diario io parlo a me stesso, lo stesso posso fare con il blog, perché la mia identità – a meno che non lo voglia di mio proposito – non è esplicitamente svelata.

Posso scegliermi un nickname di fantasia, posso travestire la mia identità (maschile vs femminile), la mia classe sociale (ricco vs povero), il mio effettivo lavoro.

 

Il pubblico che mi rivolgo è comunque un pubblico virtuale, che non vedo fisicamente, dove non ho un rapporto visivo: non devo guardare negli occhi nessuno. E questo  mi libera dalla autocensura che attualizzerei se fossi in un teatro, davanti ad un pubblico, e dovessi raccontare i fatti intimi della mia esistenza. Allo stesso tempo scavalco la logica del diario – nascosto nel mio cassetto – e mi espongo ad un pubblico reale ma con le caratteristiche dell’immaterialità (del virtuale). 

 

Se tanta gente si racconta attraverso i blog, tanta gente – nella nostra società occidentale – ha bisogno di esprimere qualcosa di sè che non trova altri canali di sfogo. 

 

Anche in questo caso non è una critica alla società, non voglio dare un giudizio di valore, ma semplicemente constatare le ragioni di un fenomeno così complesso come quello dei blog.


Quando un blog è morto?

Il web è pieno di virtuali cadaveri. Siti non aggiornati, fermi a uno due anni fa, se non di più. Blog che non sono mai nati (senza nessun post), o che hanno avuto una breve vita e rimangono in rete, come fossilizzati. 

Molti blog di carattere personale hanno questo destino. Vengono aperti per provare la novità, per essere blogger per un giorno, per sfogarsi e non parlarne più. Ci sono milioni di blog ammuffiti sul web, che rimangono lì a funghire senza più nessuna possibilità di nuova vita. E ogni giorno nascono nuovi blog, anch’essi destinati a un futuro di fossile.

Nemmeno qui voglio dare un giudizio di valore. Questo è il web, questi sono i comportamenti di molti blogger.

 

Allo stesso modo di un oggetto materiale, che buttiamo via anche solo per il semplice fatto che siamo stanchi di vederlo, così un oggetto immateriale, di pixel, fa la stessa fine. Viene gettato via, o meglio abbandonato, lasciato in balia di se stesso.

 

Ormai consumare non è più solo un nostro diritto, è un nostro dovere.

Ho sempre pensato di fare il collezzionista di blog spenti. 

Un blog abbandonato inquina meno di un sacchetto di plastica.

Se solo potessi fare il conto di quanti sacchetti di plastica sono passati tra le mie mani…

 

Sto uscendo dal tema.

Dunque mi fermo.


I blog personali: il grado zero della scrittura

 

 

Mi rifaccio – e vi rifaccio, ovvio, sono in un blog, cioè in uno spazio virtualmente pubblico – la iniziale domanda: perché una persona spreca risorse, tempo, connessione, elettricità, per scrivere senza remunerazione economica in un blog?

Risposte possibili: 

a) perché ha pochi amici con cui confidarsi;

b) perché vuole avere molti amici, e non nella stessa città o nello stesso Paese;

c) per sfogarsi.

 

Analizziamo il punto c) perché spiega il titolo di questo post.

Cos’è il grado zero della scrittura? E poi, perché scriviamo?

Il grado zero della scrittura è l’urlo, l’imprecazione, il grido di dolore, è uno sfogo primario.

Non è soggetto a nessun tipo di elaborazione psichica.

 

Un esempio classico di grado zero della scrittura sono le scritte sui muri.

Potremmo riporci la domanda iniziale: cosa spinge una persona a scrivere sui muri – rischiando sanzioni economiche e non guadagnando nulla?

È la stessa motivazione che spinge una persona a scrivere un post?

Probabilmente sì, ma scrivere un blog è già un avanzamento verso un gradino superiore al grado zero della scrittura. Implica una rielaborazione psichica ulteriore.

 

Chi scrive allora sui blog?

La maggioranza dei blog sono di natura personale. Fatti quotidiani, chiacchiere, piccole cose. Non voglio dare un giudizio di valore. Intendo solo confermare un fatto che viene registrato dalle maggiori aziende che analizzano il fenomeno del weblog.

I blog di natura specialistica sono una minoranza.


Un post sui blog

La domanda che mi sono posto è semplice:
perché molte persone – me compreso – aprono un blog, ci scrivono, sprecano risorse e tempo e non guadagnano un centesimo?

Ho rivolto questa domanda ad alcuni amici e conoscenti e le risposte che ho avuto sono state più o meno le seguenti:
a) perché mi piace scrivere;
b) perché posso confrontare i miei pensieri con quelli di altre persone;
c) perché posso scrivere quello che voglio.

Queste risposte sono alquanto generiche e non mi hanno soddisfatto. Ho quindi cercato di scavare più in profondità per vedere se era possibile riuscire a trovare spiegazioni più convincenti. Ma andiamo con ordine, e cominciamo dall’inizio, brevemente. Da dove proviene il fenomeno blog?

1. Inizio ed etimologia
La parola “blog” di origine inglese, è una contrazione dei termini “web” e “log”. Suppongo che sappiate cosa significa web – è lo spazio di internet. Log è la registrazione in un file di eventi in successione cronologica.

Quindi i blog sono delle pagine internet dove vengono registrati, in ordine cronologico, testi (ma anche suoni, immagini, filmati). Ogni volta che un utente inserisce un testo (o commento) questo prende il nome di post.

Il software per creare blog è stato programmato nel 1999: il primo blog si chiamava blogger (http://www.blogger.com) e fu creato a San Francisco dalla Pyra Labs. In seguito la società venne acquistata da Google.

Il fenomeno dei blog si è andato sviluppando in Italia a partire dal 2002. In pochi anni sono cresciuti i bloggers e i siti che offrivano la creazione di blog gratuiti.

2. Tipologie di blog
Dopo varie navigazioni in internet sono giunto ad elaborare una tipologia che raggruppa varie forme di blog. In breve ecco una tassonomia:

a) blog personali.
Possono essere di sfogo, equiparabili ad un livello zero di scrittura – si scrive ciò che si pensa senza porre censure di alcun genere. Per la loro carica istintuale e aggressiva possono essere equiparati alle scritte sui muri.
Nei blog personali rientrano anche quelli che potremmo definire come diari personali: fatti, pensieri, emozioni che ci capitano durante la giornata e che decidiamo di rendere pubblici. Implicano un livello di scrittura più complesso, non sempre vengono scritti di getto come i blog personali di sfogo.

b) blog di commento o di opinione.
Un particolare fatto o evento (sentito da amici o dai media tradizionali di comunicazione) viene commentato dal blogger che dice la sua riguardo questo o quel tema di discussione.

c) blog di segnalazione.
In riferimento ad un preciso argomento vengono riportati link ad altri blog che trattano il medesimo tema. I post vanno nella stessa direzione e hanno la funzione di approfondire ancora più in dettaglio, e spesso con senso critico, un certo tema.

d) aggregazione di vari blog su uno stesso tema.

In questa tipologia rientrano anche i blogzine. Vengono utilizzati per argomenti molto specifici e per settori di pubblico molto di nicchia (ad esempio il mondo degli appassionati Apple Macintosh).

3. Blog e giornalismo
Una delle caratteristiche principali dei blog è quella di rappresentare uno spazio dove ognuno può esprimere la sua opinione su fatti più o meno importanti senza essere un addetto ai lavori (giornalista, editore, pubblicista, etc.).
Questa caratteristica ha creato un po’ di scompiglio tra i profession isti della carta stampata. Non solo perché si è messo in dubbio la professionalità del giornalista, ma anche la stessa veridicità (e dunque la fonte) delle notizie che ci vengono presentate da radio, giornali e tv.
Il dibattito se i blog siano fonti autorevoli di notizie e se chi scrive un blog sia più bravo di un giornalista professionista (pagato per scrivere) e tutt’ora in corso.

Non è mia intenzione dare giudizi di valore su un tema così ampio e ampiamente trattato, mi basta solo notare il dato oggettivo che il fenomeno blog ha creato: una informazione “altra” rispetto a quella ufficiale. Ciò ha significato non solo fermarsi alla mera critica dell’informazione ufficiale, ma ri-fare l’informazione. È quindi abbastanza normale che tra i giornalisti ci siano quelli favoreli ai blog (che creano a loro volta un blog per essere più liberi dai vincoli dei giornali) e quelli decisamente contrari.

4. Una prima – e veloce – conclusione
Chi crea un blog lo fa per una mancanza. Essa può essere dovuta a fatti personali – narcisismo? Voglia di emergere dal gruppo? – o per fatti che definiamo sociali.
Non mi soffermo sul primo aspetto: ognuno ha la capacità di conoscere se stesso.

Voglio casomai soffermarmi sul secondo aspetto, perché mi sembra che l’informazione in Italia non sia delle migliori. Ormai in molti avranno capito che i media tradizionali hanno spesso un filtro dal quale escono le notizie. I quotidiani italiani hanno sono così infarciti di pubblicità che scrivere qualcosa contro quelle aziende (o quei gruppi di aziende) che acquistano gli spazi pubbicitari equivale a perdere quella fonte di guadagno.
E in più in Italia sempre più spesso capita che ci siano comici (capite a chi mi riferisco?) che lavorano meglio dei giornalisti (forse esistono dei giornalisti che fanno bene i comici?), uomimi politici che vanno alla radio da Fiorello, ma sono assenti da grandi manifestazioni di piazza (vedi ad esempio la manifestazione contro la base USA a Vicenza, dove per l’appunto c’erano Dario Fo, Franca Rame, Sabrina Guzzanti).

Dunque in questa anomala inversione di ruoli, perché una persona comune non potrebbe prendere le vesti di un giornalista e scrivere nel suo blog personale pensieri, critiche, considerazioni sulla società nella quale vive? Magari il risultato è migliore di tanti trafiletti che a volte sembrano essere scritti solo per riempire le pagine dei giornali schiavi dei loro padroni pubblicitari.

Mah… vallo a capire questo post-contemporaneo…